Il volonturismo, cosa c’è da sapere, riflessioni

Volonturismo: parliamone. Credit Wylly Suhendra, Unsplash

 

Negli ultimi anni ha preso piede il volonturismo ossia il volontariato in viaggio. Il termine, infatti, nasce dall’unione di due parole: volontariato e turismo. Moltissime persone (milioni) soprattutto giovani, partono ogni anno con gli zaini pieni zeppi di buone intenzioni verso paesi in via di sviluppo, con lo scopo di vivere un’esperienza formativa, facendo del bene. Spesso la spinta è il pensiero di essere nati dalla parte fortunata del mondo, quindi: Perché non aiutare chi non ha gli stessi privilegi? Sembra una motivazione nobile, tuttavia il volonturismo viene anche considerato da operatori nel settore sociale, o destinatari delle buone azioni, come un processo non etico e superficiale. E questa è l’altra faccia della medaglia. Alla fine dell’articolo vi racconterò la mia esperienza, maturata nel corso degli anni, che mi ha portata a riflettere a lungo su questo fenomeno. Ma cosa c’è di poco etico nel fare del bene? Rimandiamo la risposta a qualche paragrafo più giù. Di seguito, invece, una lista di alcune motivazioni positive.

Solitamente le aspirazioni del volonturista sono, in generale:

  • Portare aiuti in paesi in via di sviluppo.
  • Regalare sorrisi ai bisognosi.
  • Portare soldi al territorio ospitante.
  • Regalare giochi ai bambini poveri.
  • Regalare vestiti a chi veste di stracci.
  • Mettere a disposizione il proprio tempo per una buona causa.
  • Aggiungi quello che vuoi…

Il volonturista desidera sentirsi utile, vivere un viaggio indimenticabile, un processo di crescita, come una sorta di terapia ma senza terapisti. Il nocciolo della questione è che, spesso, noi occidentali non ci rendiamo conto del white saviour complex che ci contraddistingue – complesso del salvatore bianco, ma si parla anche di complesso del Messia – alimentato anche da non poche pellicole cinematografiche. E da una visione che disegna l’uomo bianco alcuni gradini più in su rispetto ad altri mondi. Pertanto egli si pone in una posizione di aiuto verso popoli non bianchi, dipinti come passivi – persone BIPOC sigla che significa black, indigenous e people of colour – e non esita a metterlo in evidenza. Il salvatore bianco, infatti, è il vero protagonista del processo di aiuto ed il primo a trarne beneficio. Nonostante le buone intenzioni, quindi, parlando di volonturismo, resta pur sempre il rischio di scivolare in una forma sottile, e mascherata, di colonialismo bianco e/o esibizionismo, atteggiamento di superiorità nei confronti dell’altro.

Credit Ray Sangga Kusuma, Unsplash

A volte non basta essere attenti nella scelta della realtà da sostenere

Spopolano video e fotografie che testimoniano la realtà in questione. Il tasto dolente è che non ce ne rendiamo conto, poiché siamo totalmente immersi nella dimensione da salvatori/superiori. In passato ci sono scivolata anch’io, per questo non voglio puntare il dito contro nessuno, ma stimolare alla riflessione. A porsi delle domande. Anzi, i dubbi mi sono venuti proprio durante il mio viaggio di volontariato e dopo, nonostante fossi stata molto attenta a selezionare la realtà con la quale volevo collaborare. Per esempio, punto apparentemente a favore: avevo scelto una realtà, in India, che non vendeva pacchetti di viaggio per fare volontariato. Non chiedeva nemmeno soldi ai volontari, ma solo alcune ore a disposizione e competenze. Tuttavia, non eravamo abbastanza competenti e preparati per affrontare alcune personalità, situazioni e fasi. Non si teneva conto che i bambini si affezionavano ai volontari per poi separarsi da loro. Ogni volta, dopo un mese, si trovavano davanti persone nuove alle quali doversi abituare… Un cane che si morde la coda.

Il viaggio del volonturista è costoso e non per forza necessario, è importante porsi delle domande

Solitamente i viaggi di volontariato costano molto, ne beneficiano le organizzazioni, mentre ai veri destinatari vanno solo le briciole.

I soldi che spendo per recarmi qui sarebbero di beneficio maggiore se donati?

Nicolò Govoni

Questa è una riflessione importante. Inoltre, possiamo chiederci se abbiamo delle competenze reali da far convogliare nel progetto (come, invece viene richiesto dalle ONG), se il nostro aiuto è davvero utile, se può essere costruttivo e di stimolo. Oppure se, in quell’occasione o l’altra, stiamo compiendo un gesto fine a se stesso, che lascia il tempo che trova. Un gesto che alimenta il delicato meccanismo del bisogno senza via d’uscita, della dipendenza dal salvatore bianco, dell’assistenzialismo.

It’s easier to go there and fix “their” problems than it is to fix problems in your own community

Dal profilo instangram @NoWhiteSaviours

Volonturisti, influencer in viaggio, attenzione alla fotografie

Riguardo le fotografie, diventa necessario chiedersi: Se io fossi in una posizione vulnerabile, avrei il piacere di essere fotografato mentre qualcuno mi sta porgendo dei soldi/viveri/ecc. come allo zoo? Sto strumentalizzando qualcuno? Sto fotografando da sopra un piedistallo? Cosa voglio realmente condividere e cosa rischio di trasmettere? Tante persone si vergognano della propria condizione, può essere un fattore culturale o personale, ma è fondamentale, umano e sensibile tenerne conto. Come minimo, è importante chiedere il permesso prima di scattare quelle fotografie ed informare come verranno utilizzate. Se non c’è il tempo… forse meglio evitare di scattare oppure non condividere, ma custodire quei momenti per se stessi. Tanto, cosa dobbiamo dimostrare? Ho approfondito il tema della fotografia nell’articolo Etica della Fotografia di Viaggio  che mi riservo di aggiornare man mano che raggiungo nuove consapevolezze, così come tutti gli altri articoli.

Risorse e spunti

Per approfondire il tema rimando i cari e sensibili lettori di DrinkFromLife:

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Per chi non ha facebook, pubblico uno stralcio di quanto scritto ne Il cancro del volontariato: il volonturismo:

La differenza è tutta qui. Quando un volonturista se ne torna a casa, non si lascia nulla di concreto alle spalle. E poi ne arriva un altro, e un altro ancora. Il volonturismo è fuffa ben impacchettata, il volontariato è responsabilità, e presa di coscienza, e cambiamento.

La mia umile esperienza, consapevole di essere sempre all’interno di un processo di crescita

Sono cresciuta in una famiglia in cui il volontariato è una delle colonne portanti. I nonni paterni sono sempre stati impegnati in prima linea e così i parenti stretti. Grazie a questo ho incontrato diverse realtà dal loro interno. O, comunque, oltre il sentito dire. Inoltre, fin da bambina, mi sono ritrovata a conoscere il mondo del volontariato anche all’esterno del contesto familiare, attraverso gli Scouts, poi il Servizio Civile Nazionale, alcune realtà associative, il volontariato che ho svolto in India. Ho perso fiducia in alcune realtà, dopo aver dato tutta me stessa, inseguendo grandi ideali, ma non ho perso la voglia di contribuire per nutrire valori come l’umanità e la solidarietà. Su di me, preferisco fare tanta formazione per acquisire nuove competenze e capacità di agire nel migliore dei modi. In questo alcune ONG possono essere un’ottima scuola.

Per riflettere insieme vi aspetto tra i commenti oppure via mail: hello@drinkfromlife.com

Alla prossima puntata con DrinkFromLife,

Sara

Sara

Anima vagabonda, amo aggirarmi nelle medine arabe, nei templi indiani, nei borghi salentini o deserti sperduti nel mondo a sentimento, collegata con la Terra e il Cuore. Mi trovi anche sul progetto Sahara View Tours.

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