Nel deserto del Thar – il mio Rajasthan

Jaisalmer è una principessa solitaria nel deserto avvolta in abiti color sabbia e drappi d’oro. Jaisalmer è un’isola che fluttua su note gitane e devi tapparti le orecchie per non farti ammaliare dai ritmi incalzanti della ravanahatha e delle voci che s’intrecciano nell’etere. Jaisalmer è un guerriero impettito, con i baffi pettinati, che si fa bello per incontrare la sua sposa promessa.
Jaisalmer è una promessa fatta a me stessa da bambina e realizzata: il deserto.
Per la puntata precedente del viaggio leggi Direzione Jaisalmer
Alla scoperta del deserto
Il tour del deserto a Jaisalmer è stato organizzato dal sorridente gestore della guesthouse dove ho soggiornato con Giovanni e i nostri amici viaggiatori. Armati di sacchi a pelo e piccoli zaini, siamo saliti a bordo di una jeep che ci ha portati fuori città. Abbiamo attraversato piccoli villaggi dimenticati da Dio, dove nel 2017 non c’è ancora l’elettricità e gli abitanti vanno a dormire appena tramonta il sole, e magari i loro figli lavorano e vivono in città e hanno il cellulare all’ultima moda.
Alla vista della jeep correvano tutti per strada, soprattutto donne e bambini, per chiedere dolci, soldi e cercare di rifilarci strumenti musicali belli da vedere ma pessimi da suonare, ottimi per essere appesi al muro di casa, al ritorno di un viaggio. Testimoni delle avventure passate, scrigni di esperienze che diventano storie da raccontare.
Il veicolo ci ha portati fino a un punto, da lì abbiamo proseguito con i cammelli. Mi trovavo sul cammello più grande e mi sembrava di essere seduta su una montagna che mi faceva traballare a ogni passo. In fila indiana avanzavamo ondeggiando nel deserto, di tanto in tanto si levava al cielo un ridolino per i nostri incroci di sguardi e la buffa situazione.
Per ognuno di noi un ragazzo o un bambino teneva la corda del cammello ma improvvisamente i bambini hanno lasciato il gruppo per allontanarsi e scomparire tra cespugli secchi.
Con il capo coperto e i nostri pochi averi da viaggiatori addosso, abbiamo solcato piccole dune costeggiando branchi di gazzelle dalle zampe esili e lunghe. Giunti al campo c’era un divisorio con le foglie e dei letti adagiati direttamente sulla sabbia da un lato, e un fuoco dall’altro.
I bambini erano tornati, sorridenti, con la legna per il fuoco. Le nostre guide ci hanno preparato un tè speziato – il chai – sul fuoco acceso nel deserto. Qualcuno di loro ci ha portato il chai su una duna, dove ci eravamo riuniti a contemplare il deserto, in tazze di latta e con un piatto di strane patatine colorate. In India ogni cosa veste colori sgargianti e allegri, anche il cibo che non ti aspetti.
Ricordo ancora il sapore di quel chai, sapeva di fumo e di sabbia e di libertà.
Silenzio di stelle e sabbia
Nel deserto il silenzio si staglia dal granello di sabbia alla stella sopra la testa del viandante. Solo le nostre risate o parole lo interrompevano. Improvvisamente il gruppo si è sparpagliato tra le dune. Come se un moto interiore ci avesse spinti nello stesso momento a conoscere il deserto in solitudine. Seduta sulla duna che in quegli istanti ho sentito mia amica, ho lasciato che il deserto mi parlasse.
Ho ascoltato le storie che voleva raccontarmi, i messaggi che desiderava farmi arrivare, attraversare. Mi ha detto anche: “Puoi andare anche in mezzo al nulla ma chi o cosa deve raggiungerti lo fa”. In India, e nel deserto, ho imparato che non posso oppormi a niente, questo tipo di resistenza porta dolore. È meglio fare spazio, vuoto interiore e accogliere ciò che arriva incondizionatamente.
Porto ancora con me questo insegnamento. Avevo letto, nelle storie di altri viaggiatori, che il deserto è vivo. La mia esperienza è che non solo è vivo ma parla se ti predisponi all’ascolto. Una notte con lui mi ha attraversata di un’intensità mai conosciuta. Forse perché dicono che sono sensibile, che so ascoltare.
A volte immagino che, se dovessi ritrovarmi a stare più a lungo nel deserto, potrei dissolvermi. Mi piacerebbe tanto viverlo per 10 giorni almeno, attraversandolo e ascoltando ancora la sua voce che ancora mi parla fino a qui, in Salento. Quello tra le dune di sabbia è stato un tempo da sogno. Ci eravamo sparpagliati soli tra quei cumuli di sabbia e quando poi ci siamo ritrovati siamo esplosi.
Correvamo tra le dune come bambini e bambine che si scatenano all’uscita della scuola, prendendoci per mano o buttandoci nella sabbia, rotolandoci.
Il cibo del deserto
Quando è calata notte le guide ci hanno offerto una cena squisita, un thali del deserto, che sapeva di spezie e di sogni stellati. Abbiamo cantato tutti insieme e la cordiale separazione, palpabile più a livello sottile, che c’era stata tra viaggiatori e guide si è dissolta. Eravamo un’unica tribù sotto le stelle, tutti uguali nel cerchio con il fuoco al centro. Abbiamo cantato a ritmo di chitarra, khartal e percussioni improvvisate su contenitori d’acqua vuoti.
L’orchestra del deserto ha fatto danzare le stelle. I bambini erano felici e curiosi e ho immaginato che forse non era così male per loro stare lì, a godere della profonda bellezza del deserto e di quel cielo d’incanto, conoscendo zingari di altri posti lontani, con la pelle di latte.
Improvvisamente sono finiti i canti, come per un tacito accordo, le guide e i bambini sono andati a dormire sui loro giacigli. I ragazzi del mio gruppo si sono allontanati su una duna e da lì riecheggiavano le loro risate, poi non si è più sentito nulla. Io e Laura, una ragazza francese che viaggiava da mesi in solitaria, siamo rimaste davanti al fuoco.
Eravamo le uniche donne del gruppo e ci siamo ritrovate a parlare di meditazione vipassana. Dopo un po’, quasi senza sapere come, ci ritrovavamo già sulla duna con i ragazzi. Volevano condividere con noi la loro ultima scoperta. Nel buio pesto del deserto, che fa parte della sua magia, è facile vedere il corpo di luce attorno alle persone.
È naturale anche vedere milioni e milioni di stelle e, una volta a letto, non riuscivo a chiudere gli occhi. Il sonno cercava di trascinarmi dentro ma il bagliore di quei minuscoli puntini luminosi attirava la mia attenzione verso l’alto. L’unica volta nella mia vita in cui avevo visto qualcosa che poteva avvicinarsi a quella visione, era stato in Abruzzo, molti anni prima.
Facevo parte degli scouts e avevamo dormito tutti insieme nel Parco Nazionale, senza la tenda. Per anni ho portato quel ricordo con me e nel deserto la visione di quel cielo si è ampliata e approfondita. Dopo aver resistito più che potevano nel Deserto del Thar i miei occhi si sono chiusi in uno sonno ristoratore.
Al mattino ci siamo svegliati quasi tutti contemporaneamente all’alba e, nuovamente, ci siamo disseminati sulle dune. Piccole impronte e buche nella sabbia testimoniavano il passaggio di piccoli animali. Ancora un chai nella tazza di latta, che sapeva di fumo e dei colori pastello del cielo al primo mattino.
“È proprio vero che il mattino ha l’oro in bocca”, ho pensato quel giorno seduta su una duna, cullata dalla voce rassicurante del Deserto del Thar. Quando è giunto il momento di ripartire, mi sentivo completamente purificata dal contatto profondo con la natura viva e dal contatto umano che si era instaurato naturalmente tra compagni di avventure.
Sarei rimasta ancora eppure sapevo che era anche arrivato il tempo di salutare e ringraziare il luogo per quella incredibile esperienza.
Dal mio diario di viaggio:
Uno scatto per sempre.
Le nostre vite si sono magicamente intrecciate per qualche giorno e, con amore, solidarietà e tanta musica e allegria, abbiamo condiviso momenti incredibili.Pushkar, il viaggio verso Jaisalmer, il Forte. Tutti insieme nella stessa guesthouse, sempre pronti ad aiutarsi. Abbiamo condiviso gli stessi piatti, l’acqua, un pezzo di vita.
Siamo stati nel deserto e abbiamo cantato e suonato tra le dune. Abbiamo visto milioni di stelle insieme…
Tre italiani e tre francesi.
Adesso i gitani sono ripartiti verso nuove mete ma quello che ci siamo scambiati è una scia d’amore nell’eternità che siamo.
… Alla prossima puntata, ci rivediamo a fine estate con il viaggio in India 😉
Se vuoi ricevere altri aggiornamenti in tempo reale e scoprire altre chicche, puoi seguire drinkfromlife sulla pagina social drinkfromlife o su instagram.
Se ti piace il blog commenta, in questo modo mi sproni a continuare 🙂
Vuoi scrivermi per un consiglio o una collaborazione? Allora contattami qui drinkfromlife@gmail.com
Quei villaggi di sterco e paglia nel deserto del Thar erano così anche nel 1999. Il deserto è una rivelazione profonda. Credo che questo sia il tuo post più bello, di ampio respiro. Pura magia, grazie per la condivisione.
Grazie Clara, non sai quanto mi stai sostenendo nel continuare a scrivere e amigliorarmi! In questi giorni sono impegnata a lavorare con i mandala e la scrittura mi sta mancando tantissimo, sto soffrendo. In questo post mi sono proprio lasciata andare, grazie di cuore per averlo accolto.
Mi manca l’India, purtroppo non riesco a partire per capodanno, peccato… Inoltre mi manca l’esperienza nel deserto, credo sia una cosa incredibile! Che da questo post traspare una grande pace interiore che fa venire voglia di partire! subito!
Il deserto é pura magia. La prossima volta mi piacerebbe fare un’esperienza più lunga. Se non riesci a partire per Capodanno vuol dire che la vita ti sta preparando qualcosa di ugualmente importante e l’India é sempre lí ad aspettarti a braccia aperte.
Nel tuo post trovo quello che mi dicono tutti sul deserto: che il deserto si fa respirare! Bellissimo post, complimenti
Il deserto fa respirare, il deserto è vivo! Grazie di cuore.
Io e l’India non riusciamo a fare pace, ma forse partendo da un deserto magico come questo…Mi torna la voglia di vedere questo paese dei contrasti e dall’attrattiva unica…
Cara Paola, non so cosa sia successo ma datti tempo. È passato quasi un anno dal mio ultimo viaggio in India e sto ancora processando tante cose. :*