Finalmente Gokarna – ritorno in Karnataka
Ritorno in Karnataka
Tornare in un luogo in cui sono già stata – e che ho amato – è un po’ come rimettere piede a casa. Così accade per il Karnataka, uno stato a sud dell’India. Il Karnataka era stata una tappa importante del mio primo viaggio in India e lì avevo anche vissuto un piccolo trauma da guarire.
La prima volta a Gokarna
Eppure a Gokarna non ci ero mai stata, sebbene questo nome girasse nelle mie visioni da un po’ di anni. Ricordo molto bene l’arrivo in tuc tuc, le palme lievemente ondeggianti (le ho sempre viste come entità femminili) quella distesa di verde che ogni volta mi bacia lo sguardo e l’anima.
L’arrivo a Main Beach, la spiaggia principale, il breve tratto a piedi sulla spiaggia, con gli zaini in spalla. Io e Giovanni, compagno di avventure e sventure per lunghi anni, arriviamo in un luogo che si chiama Home Sweet Home dove ci sono diverse capanne che si possono affittare. Lì c’è Valentina ad accoglierci, un’amica conosciuta a Pushkar, che ci ha prenotato una capannina accanto alla sua.
Sono felice di riabbracciarla. Questa piccola donna sarda, sensibile e determinata, è come una sorella. In viaggio in India si può sviluppare una sorellanza – o una fratellanza – molto forte, nel giro di breve tempo ci si conosce senza filtri. Almeno a me è accaduto così.
In India tutto è accelerato, denso, crudo, senza scorza. Provare per credere.
La capanna è ben diversa da quella che avevo a Goa due anni prima: è buia e non è affatto piacevole starci dentro. Il letto è una tavola di legno appoggiato su due pietre, responsabile di atroci mal di schiena al mattino (perché non sono abituata, ma pare faccia bene). Eppure a Gokarna sono così (almeno al momento del mio viaggio) molto più spartane. Dopotutto, se avessi cercato la comodità occidentalizzata di Goa, sarei tornata lì.
Nei giorni seguenti arriva anche Raja, conosciuto a Pune, questa volta siamo noi a riservare due capannine ai prossimi che arrivano. Ci raggiunge, infatti, anche Assang, amico fratello con cui avevo condiviso tanto due anni prima in ashram a Goa. In breve tempo si forma un’allegra comitiva della quale fanno parte anche anche Rocco e Lucia, una coppia italiana con la quale si crea un feeling istantaneo. E poi ci sono Eva, Bernardo, altri viaggiatori con cui stringiamo amicizia. A parte Martin, un uomo inglese che ci odia dal primo momento.
Dice a qualcuno che ci detesta, ci identifica come gente Rainbow. Troppo allegri e colorati a quanto pare. Non si può piacere a tutti. Sarebbe presuntuoso pretenderlo. Le giornate a Gokarna sono scandite da passeggiate, lunghe e profonde conversazioni, pranzi e cene, serate musicali riparati nelle verandine delle nostre capanne. Mentre sulle palme scende la setosa notte indiana. Ed i fantasmi, di quelli che passarono da qui, si aggirano sulla spiaggia. A volte andiamo a prendere l’acqua sacra sulla collina dove si trova il Tempio di Rama. Per arrivarci, facciamo una passeggiata lungo la spiaggia popolata da indiani che fanno il bagno, tra un’offerta votiva di fiori alla divinità del mare e una passeggiata, altrui, in cammello. Ci sono anche diversi Shiva Lingam di sabbia modellati dai devoti. L’acqua, potabile, sgorga dalla bocca di una statua a forma di testa di mucca e così prenderla diventa una sorta di rituale. Se da lì si continua la passeggiata è possibile arrivare a Kuddle Beach, una spiaggia dall’acqua cristallina popolata soprattutto da occidentali.
Qui, ogni giorno, si svolge al tramonto un vivace mercatino alternativo e la vendita è scandita dal ritmo del jambè dei musicisti di passaggio che si radunano. Piccoli gatherings improvvisati. C’è un’atmosfera festosa, ogni sera chi vuole divertirsi trova sempre qualcosa da fare. Stranamente non siamo attratti da questo posto, nonostante le avventure vissute due anni prima, sulla spiaggia di Arambol.
Seguono Om Beach e Paradise Beach, che si possono raggiungere a piedi o con un mezzo pubblico.
Appena arrivata a Om Beach, che si chiama così per la forma naturale di un Om, il simbolo del suono primordiale, mi colpisce un cartello con le foto di uomini e donne occidentali che sono stati ritrovati, defunti, in spiaggia. L’India non è solo quella patinata delle riviste da viaggio, i viaggi da 15 giorni in hotel di lusso. Purtroppo l’India è anche questo, dopotutto si tratta di un subcontinente popolato da miliardi di persone, senza contare i viaggiatori, dove coesistono realtà agli antipodi.
L’occidentale è tenuto a non comportarsi con superficialità, a tenere conto di trovarsi in un paese straniero, dove vigono altre leggi, altri codici. Dopo qualche riflessione intensa, decido di concentrarmi sulla bellezza naturale del luogo, non posso fare altro. L’acqua in questa spiaggia è bassa vicino la riva e trasparente, incontro pochissima gente e desidero avere qui la capanna. Si tratta della tipica spiaggia tropicale da cartolina, con le palme dai tronchi sottili, leggermente ricurve che creano un ombrello naturale.
Torno a piedi da sola – anche se si viaggia insieme a qualcuno capita di dividersi per vivere dei momenti in solitudine, mettersi alla prova, a volte capita pure di bisticciare – e per strada incontro una ragazza che qualche giorno prima mi avevano presentato Rocco e Lucia. Così camminiamo insieme verso Kuddle Beach, per poi fermarci a chiacchierare in un locale delizioso, incastonato in una piccola laguna pacifica. Anche se breve, sento che si tratta di un incontro prezioso, Marianna è un angelo mandatomi a farmi compagnia dall’Universo in un momento di riflessioni profonde.
Paradise Beach assomiglia alla spiaggia di Laguna Blu per quanto è bella e selvaggia. L’unica differenza è che alcuni hippies – o presunti tali – si sono stabiliti lì con tende o amache per trascorrere un soggiorno indiano e selvatico a costo zero.
A Paradise Beach ci vado con tutta la truppa. Percorriamo un tratto in bus, mi piace un sacco per via del paesaggio mozzafiato che si srotola fuori dai finestrini. Arriviamo vicino una piccola spiaggia e da lì continuiamo a piedi per una ventina di minuti abbondanti, attraversando la natura. Percepisco un forte senso di unione con lei, la Pachamama, come viene chiamata la Madre Terra in lingua quechua. Ogni giorno, all’ora di pranzo, una famiglia indiana si immerge nella selvaticità per preparare il thali, piatto tipico, più buono dell’India a un costo molto contenuto. Paradise Beach è un’esperienza da vivere, anche solo per un giorno. Durante il bagno una grossa medusa si avvicina a noi. Non ne avevo mai vista una così e mi affascina, sembra quasi un essere angelico. E pensare che se ti sfiora è capace di infondere molto dolore.
Durante il soggiorno a Gokarna ho la fortuna di vivere Shivaratri, la festa in onore del dio Shiva. Mi ritrovo immersa tra pellegrini e turisti curiosi che lanciano banane sui brahmini, i preti indiani, all’interno di un enorme carro di legno. Il carro assomiglia ad una navicella spaziale. La mia mente va in tilt più volte alla vista di scenari così assurdi. Noto che un meccanismo di difesa, per la mente occidentale in India, è la rabbia che, invece, cela molto altro dietro. Tristezza, paura… Beh cara India, anche in questa tappa mi hai dato da lavorare. Tanto. E da godere. Tantissimo!
Riflessioni…
Sono arrivata a Gokarna perché cercavo un compromesso tra la natura di Goa e la tradizione indiana, desideravo vivere un luogo ancora non contaminato dal turismo selvaggio ma aperto anche agli occidentali. Gokarna mi ha dato questo e tanto altro. Mi ha donato calore umano, rapporti veri con i miei compagni di viaggio (amicizie che sono durate anche successivamente) in un contesto d’India pura. Qui ho anche scoperto quanto ami l’Italia, nonostante i suoi lati oscuri. Ho visto la bellezza degli italiani che viaggiano in India e sanno aiutarsi ed essere comunità. Grazie Gokarna!
Alla prossima puntata con drinkfromlife!
Sara
Che bello ritrovarti a Gokarna 🙂 belli questi post, colorati e pieni di vita, la strada addosso. Nulla di cui vergognarsi, nulla da etichettare. Grazie per la condivisione
Grazie a te carissima Clara. Nulla di cui vergognarsi, nulla da etichettare: mi piace.
Molto interessante! L’India me la sto studiando con calma… 🙂